Considerazioni
sul Cane Fonnese
Non è semplice scrivere di un mito, un prezioso animale
che ha accompagnato il trascorrere della vita nelle campagne della Sardegna
alimentando racconti e fantasie di grandi e piccoli, della sua intelligenza
e coraggio, della ferocia, dell'utilità e della fedeltà al proprio
signore, il suo padrone.
Il Cane di Fonni è conosciuto anche come mastino fonnese o pastore fonnese,
ma è chiamato cani fonnesu antigu nell'ambiente pastorale, spinone fonnese
dai cacciatori e cani sardu antigu dagli anziani di tutti i paesi della
Sardegna, oppure semplicemente Fonnese. Allo stato attuale può parlarsi di
popolazione canina anche se la razza fonnese viene apprezzata in Sardegna da
più di duemila anni.
Stiamo parlando di un antico e raro cane un tempo presente in tutta l'Isola
e sicuramente molto più comune di oggi che soprattutto nel paese di Fonni,
dove viene chiamato "ane 'e accappiu" (cane da catena o da
guardia), si è conservato forse nel nucleo più originario perché
gelosamente tramandato da padre a figlio.
I ceppi originari degli animali prendono il nome dalla famiglia allevatrice
da generazioni. Le famiglie Loddo e Coccollone soprannominate
rispettivamente "Addai" e "Cussuggia" sono due di queste
ed i cani fonnesi attualmente presenti in Sardegna discenderebbero dalle
stirpi da loro selezionate, in conseguenza della "sottrazione" di
una cucciolata a suo tempo commessa a danno dei pochi e gelosi detentori
della razza: gli Aggiustru ed i Biaceddu avevano i cani più belli, ma
c'erano anche i Manias, i Maggios, i Tracathu, gli Othale ed i Vracone.
Diversi possessori di questi cani sopprimevano le femmine per non permettere
ad altri di possedere la razza.
Il signor Giovanni Loddo, noto "Addai", figlio del proprietario
dei capostipiti dell'omonima stirpe canina ed appassionato allevatore, mi ha
raccontato la storia di tre cani pastori fonnesi che nel corso di un
tentativo di abigeato ai danni del gregge di proprietà di suo padre
riuscirono a disarmare due pericolosissimi e temuti fuorilegge, i
fratelli Giovanni e Antonio Pintore i quali, sino alla fine della loro
violenta vita, ne lodarono, alquanto turbati, il coraggio, il valore e
l'intelligenza.
La storia è questa. Due cani si trovavano all'interno del gregge mentre
l'altro era accucciato non lontano, accanto al padre addormentato del signor
Loddo: i cani erano silenziosi e quando i Pintore furono prossimi alle
pecore il cane che stava vicino al suo padrone lo svegliò toccandolo con la
zampa (una dote naturale che hanno tuttora sin da cuccioli); resosi conto di
quanto stava accadendo, il Loddo aizzò immediatamente i cani che scattarono
come saette da più parti e, convergendo, si scagliarono inferociti sui
ladri cogliendoli di sorpresa e questi, persi i fucili mitragliatori,
vennero immobilizzati a terra dagli intelligenti animali.
Ritengo che geni di questo animale siano distribuiti nel patrimonio
cromosomico di tutti i cani meticci che vagabondano nelle aree rurali della
Sardegna; ho infatti constatato che a volte soggetti con simili
caratteristiche fisiche e caratteriali nascono da genitori che di questa
razza hanno ben poco. Secondo la versione ufficialmente accreditata, questi
cani originerebbero da antiche e ripetute selezioni tra veltri e cani
mastini e più verosimilmente sarebbero il frutto dell'incrocio tra i
molossi utilizzati nel 231 A.C. dal console romano Marco Pomponio Matone per
contrastare le continue incursioni dei mastrucati ribelli (Zonara VIII, 19
P.I.401) ed il cane locale, si è supposto un levrieroide.
Alla luce di una lettura più attenta, si potrebbe ritenere che i cani
importati dal console romano dall'Italia fossero dei segugi (sagaces canes)
utilizzati per la ricerca dei nascondigli dei predoni sardi, i manufatti
interrati dove presumibilmente nascondevano le derrate frutto delle bardane
ed anche sé stessi.
Uno studio interessante al quale sta lavorando da tempo un ricercatore della
facoltà di Medicina Veterinaria dell'Università di Sassari, il dott. Marco
Zedda del Dipartimento di Biologia Animale, ipotizza appunto che i cani a
suo tempo portati dai romani per stanare i sardi fossero cani da seguito,
segugi o veltri, mentre mastino o molosso poteva più verosimilmente
essere il cane locale, il discendente di quello appartenuto all'uomo
nuragico fosse esso pastore, cacciatore o guerriero, raffigurato nei
bronzetti esposti nel museo nazionale di Cagliari e testimoniato dal
rinvenimento di alcuni reperti ossei.
Questa ipotesi mi vede concorde con il ricercatore e potrebbe essere
compatibile con l'unico graffito del genere rinvenuto, che testimonierebbe
la presenza in Sardegna di un grosso cane dalla coda mozza già prima
dell'avvento romano.
Nella primavera dell'anno 1905 il Soprintendente alle Antichità A.
Taramelli rinvenne, sull'architrave di una tomba di giganti in località
Craminalana, nel Comune di San Giovanni Suergiu (Sulcis), un graffito ora
depositato presso il museo archeologico di Sant'Antioco (Ca), che
l'archeologo così descrisse: "la figura dell'incisione è data da un
solco non molto profondo, ma continuo e sicuro: rappresenta inferiormente,
in quello che pare il primo piano, il profilo di una figura umana a braccia
distese, con tunica lunga a larghe maniche; a destra di essa una figura di
quadrupede che, per le proporzioni ed il profilo del capo, parrebbe quello
di un cane (.) dietro è rappresentato un carro a due ruote (.) due tratti,
riunenti il quadrupede al carro, vogliono forse esprimere il laccio che
tratteneva il cane alla custodia del veicolo (.) è evidente qualche
analogia con alcune delle rappresentazioni di età preistorica sinora
conosciute (.) è evidente l'intendimento dell'artefice di esprimere la
scena abbastanza complessa di un uomo, accompagnato da un quadrupede, che a
mio giudizio sembra un cane, presso alla leggera carretta (.) il fitto
strato di licheni e la generale erosione della superficie della roccia che
ammorbidì gli orli dell'incisione, non mi lasciarono acquistare la certezza
che si tratti di incisione con scalpello di metallo, anziché di
pietra."
Il prof. Giovanni Lilliu, accademico dei Lincei, ritiene che il quadrupede
raffigurato nella lastra di Craminalana sia un cane e che la
rappresentazione possa datarsi intorno all'ottavo secolo A.C.
La presenza del cane molosso e del levriere prima dell'arrivo dei Romani in
Sardegna è testimoniata dalle terre cotte figurate rinvenute nella lagune
di Santa Gilla (Cagliari) in regione "su Mogoro" negli anni 1891 e
1892: tra 327 pezzi rinvenuti sono infatti presenti 20 terre cotte (mezzo
torso) di levriere e due teste di molosso. Di produzione locale, questi
reperti hanno carattere votivo in quanto il sito di rinvenimento e risultato
trattarsi di una officina che verosimilmente lavorò per un vicino santuario
Cartaginese (ubicato tra i paesi di Elmas ed Assemini, circa 200-300 metri
dalla sponda est della laguna stessa); essi sono riferibili al periodo
fenicio-punico (Vivanet) o tardo punico e quindi pertinenti all'orizzonte
dei Cartaginesi di Sardegna (F. Barreca)
L'eventualità teorica è stata illustrata con supporto audiovisivo dal
dott. Zedda a Fonni il giorno nove luglio 2000, in occasione del primo
raduno Enci organizzato per il censimento e riconoscimento ufficiale della
razza.
Grazie alle misurazioni effettuate dai giudici federali dell'Ente Nazionale
Cinofilo Italiano Gian Franco Giannelli e Giacinto D'Alessio in occasione
del raduno, è stato possibile constatare evidenti compatibilità
morfologiche e morfometriche, relativamente alla forma e dimensioni della
testa, all'apofisi occipitale ed alla consistenza e forma dei denti canini e
degli incisivi (sbalordisce lo sviluppo dei canini e dell'incisivo terzo
superiore), tra gli animali presentati ed i reperti ossei, in totale
sessanta resti riferibili a sette soggetti tra cui sei crani di cane tutti
delle stesse dimensioni, aventi caratteristiche alquanto omogenee, rinvenuti
dalla Sovrintendenza Archeologica all'interno del pozzo nuragico di Santu
Antine in agro del Comune di Genoni (NU), animali che si ritiene siano stati
probabilmente sacrificati come offerta propiziatoria. I reperti ossei sono
stati oggetto di studio dell'Associazione Italiana di Archeozoologia e
sono stati presentati dal dott. Marco Zedda e dal dott. Valentino Petruzzi
al terzo convegno nazionale tenutosi a Siracusa dal 3 al 5 Novembre 2000.
E' opinione del dott. Zedda che le caratteristiche del cane al quale sono
appartenuti i crani repertati siano quelle tipiche di un cane mesocefalo,
che può essere ancora riconosciuto nell'attuale cane di Fonni.
Esisterebbero alcune linee di sangue corrispondenti ad altrettanti modelli
fenotipici, sicuramente tre.
Le differenze riguardano:
- la taglia: l'altezza media al garrese è di poco
inferiore ai 60 centimetri nei maschi mentre invece per le femmine dobbiamo
considerare circa il l0% in meno e queste ultime, nelle quali è
evidente un forte dimorfismo sessuale, sono generalmente più
"leggere"; i maschi raggiungono a volte altezze superiori alla
media, in qualche caso intorno ai 65 ed anche 70 centimetri, così pure
qualche esemplare femminile raggiunge l'altezza media maschile;
- la conformazione del corpo, meso-brachimorfo, a metà strada tra la
pesantezza di natura molossoide e la leggerezza del levriero, più o meno
pronunciata in un senso o nell'altro;
- la lunghezza dell'ispido pelo ed il conseguente aspetto fisico;
- il colore del manto;
- l'assenza della coda alla nascita.
Questi cani hanno il garrese alla medesima altezza o, in numerosi esemplari
soprattutto femminili da me conosciuti, leggermente più basso della groppa,
ampio torace, arti asciutti, potenti e muscolosi con "piede" ben
conformato, la coda è a volte assente.
Essi hanno generalmente il palato nero ed inoltre una formidabile dentatura
già formata nei cuccioli di cinque-sei mesi, con chiusura soprattutto a
tenaglia: enognatismo e prognatismo non sono presenti e sarebbero comunque
considerati difetti.
Il colore del mantello è soprattutto nero, brizzolato e grigio cenere,
miele, bianco lana (alquanto raro ed apprezzato quest' ultimo in quanto
l'animale può confondersi all'interno del gregge di pecore), roano e
tigrato: nieddu, murruzzanu, incinixiau o canudu, melinu, ispanu, sorgolinu
(a volte assomiglia al mantello della iena) e pertiazzu ; ma il manto del
cane di Fonni è anche rosso o fulvo, ruju in lingua sarda.
Il manto pertiazzu può essere più o meno scuro, così come la tigratura è
più o meno marcata ed in molti, soprattutto nel Sulcis e nel Campidano, lo
indicano come il mantello originale ed arcaico del cane antico, al quale
invece nelle zone interne dell'isola contrappongono principalmente quello
nero (con una stella o lista bianca nel petto) e quindi il grigio ed il
mantello chiaro, miele o bianco lana. Escludendo la stella o lista pettorale
-che può estendersi anche al sottogola- e piccoli guantini bianchi, altre
macchie e pezzature nette sparse nel mantello sono espressione di non
purezza dell'animale. Un'altra caratteristica del mantello è quella di
cambiare colore con la crescita dell'animale: un cucciolo nero, a tre mesi
può diventare tigrato e quindi, con il passare degli anni, grigio.
Il pelo del fonnese attuale, vetroso, fitto ed ispido, può essere molto
lungo, dandogli l'aspetto di un grosso barbone non tosato oppure di
lunghezza media, il così detto pelo forte che gli anziani indicano come
l'originario, o addirittura corto (raspinu): nel secondo caso l'animale
appare come uno "strano" spinone e nell'ultimo assomiglia ai
precedenti modelli esclusivamente per la mole, lo sguardo, la potente
dentatura, l'intelligenza e la predisposizione all'aggressività.
Ritengo che l'esistenza di più fenotipi sia dovuta all'impoverimento della
razza originaria, al conseguente isolamento dei ceppi ed agli accoppiamenti
endogamici, quindi tra consanguinei, ma anche al fatto che gli
allevatori-selezionatori, persone molto pratiche alle quali premeva
soprattutto costruire un affidabile e valido collaboratore, consideravano
soprattutto il carattere più che l'aspetto fisico.
Per questi motivi troviamo oggi il primo modello nelle zone montane interne,
dove il clima è più rigido, ed i rimanenti sparsi nelle altre regioni
dell'Isola quali la Nurra, la Gallura, l'Oristanese, il Sulcis-Iglesiente ed
il Sarrabus-Gerrei, anche se c'è da dire che il pastore, nella transumanza,
portava al seguito i propri validi collaboratori, i cani a guardia del
gregge e dell'ovile, per cui spesso nuclei del primo tipo si rinvengono in
quegli stazzi dove si è trasferito stabilmente il vecchio transumante
barbaricino od ogliastrino.
I cani fonnesi, soprattutto quelli scrabionausu (spettinati), hanno un
aspetto interessante e quasi casual, trasandato e non molto estetico: come
dire, sono un paradosso, contemporaneamente belli e brutti.
Lo sguardo è molto intenso e caratteristico ed è un elemento di
riconoscimento della razza perché, come ho potuto constatare per esperienza
personale, tutti i numerosi esemplari a me noti hanno la medesima
espressione un po' triste, profonda ed autorevole. Essi presentano infatti
una caratteristica "faccia da scimmia" od anche un particolare
"occhio di scimmia": gli occhi, non grandi, sono rotondeggianti,
in posizione sub-frontale e tra loro ravvicinati.
Questa è un'espressione assolutamente unica non riscontrabile in altre
razze canine, dovuta anche al notevole sviluppo delle arcate sopracciliari
ed al fatto che l'iride è molto grande e ricopre quasi totalmente
l'apertura delle palpebre tanto che la cornea risulta poco visibile.
Occhi quindi molto espressivi, brillanti e truci a seconda delle
situazioni, prevalentemente di colore giallo, arancio, ocra, ambra, talvolta
beige o nocciola, raramente scuri e comunque mai torbidi; essi emanano un
particolare riflesso che incute rispetto ed anzi, soprattutto la notte, una
certa inquietudine.
La testa è pesante con l'apofisi occipitale straordinariamente pronunciata;
il muso è abbastanza lungo, con tartufo generalmente nero ben conformato e
negli esemplari a pelo lungo ed a pelo forte sono presenti mustacchi, pizzo
ed abbondanti ciuffi che ricoprono gli occhi tanto che spesso è necessario
un lavoro di maquillage: il taglio dei ciuffi permetterà una migliore
visione all'animale.
Le orecchie sono piccole e semi-discendenti, generalmente portate larghe e
quasi a sventola, a volte sono erette: questa è una caratteristica
interessante descritta sia dal gesuita Antonio Bresciani che da Giovanni
Valtan, ma anche raffigurata nei pochi dipinti che ritraggono cani sardi;
personalmente ritengo che, assieme al mantello tigrato, sia un carattere
distintivo arcaico dell'animale, entrambe reliquia dell'indole selvaggia,
molto accentuata negli esemplari che hanno almeno una delle due.
Gli esemplari maschi presentano abbondante criniera sul collo che conferisce
loro un aspetto leonino ed infatti Leone è un nome molto comune.
Il fonnese è un cane di intelligenza superiore, longevo (da cuccioli sono
sensibili alle gastroenteriti ma, se curati, raggiungono senza problemi età
ragguardevoli, anche superiori ai venti anni), rustico, prolifico ed ha
fondamentalmente un buon carattere anche se è predisposto all'aggressività;
inclinazione quest'ultima che emerge sicuramente se lo si vuole rendere tale
o se viene maltrattato ma anche se non viene allevato adeguatamente:
necessita, soprattutto il maschio, di un padrone autorevole da riconoscere
come "capobranco", al quale si lega in modo totale e con il quale
stabilisce una intesa non comune. Difenderà il proprio padrone, la sua
famiglia e la loro proprietà da ogni violenza o intrusione di estranei nei
confronti dei quali sarà molto diffidente ed aggressivo, ammettendo
comunque gli ospiti con i quali si comporterà bene, pur rimanendo
guardingo.Si narra che anticamente esistessero in Sardegna due tipi di cane
molto simili e molto validi, uno nelle zone interne ed uno presente
soprattutto nel campidano di Cagliari e sulle coste e quest'ultimo, dal
manto tigrato, era alquanto più grande ed a pelo corto: il fonnese attuale,
nello standard conosciuto, da molti è ritenuto il frutto dell'incrocio, e
conseguente selezione, operata tra questi due animali.
Mentre un'altra ipotesi, un vero mito tra gli appassionati isolani, indica
in altre due rare "razze" locali l'origine del cane di Fonni: il
cane di Bonorva, citato da Emanuele Domenech in Pastori e Banditi ma anche
dal Cav. Salvatore Saba nell'Itinerario-Guida Storico-Statistico dell'Isola
di Sardegna e da alcuni identificato nel Dogo Sardesco, ed il cane di Posada,
un rarissimo levrieroide allevato per generazioni da una sola famiglia di
appassionati originari dell'omonimo paese.
Entrambi gli autori descrivono sia il cane di Bonorva che quello di Fonni ed
il Domenech considera quest'ultimo una variante feroce del primo come
conseguenza dell'addestramento: "(.) si alleva la miglior razza o, per
meglio dire, la più feroce, di cani sardi di cui ho già parlato in un
capitolo precedente (.) la loro educazione consiste del resto nell'affamarli
e di tanto in tanto avventarli contro un fantoccio cui attaccano al collo
una vescica piena di sangue (.) qualche volta i montanari di Fonni si
liberano, con questi cani, d'un nemico che non vogliono uccidere né col
ferro né con fuoco."
Il cane di Bonorva, secondo la descrizione del Cav. Saba, era un mastino
abilissimo che aiutava il proprio padrone nella cattura dei bovini allevati
allo stato brado inseguendo, affrontando ed arrestando tori indomiti
addentandoli nelle narici.
Quando l'animale veniva preso dalla fune lanciatagli da un uomo a cavallo il
cane si avventava sull'animale riuscendo a bloccarlo e permettendo all'assocatore
di scendere dal destriero e di avere ragione dello stesso.
Attualmente di questo cane, si dice estinto nella razza originaria, sanno
poco anche i bonorvesi e parrebbe che, in quanto sperimentato in passato,
dall'accoppiamento tra questo ed il levriero di Posada -del quale si sa
ancora meno e per il quale non ho sinora reperito fonti scritte- nasca il
fonnese.
E' superfluo considerare l'opportunità di avviare ulteriori ricerche presso
le comunità paesane e rurali di Bonorva e Posada, ed in quelle prossime,
nonché presso archivi e biblioteche, al fine di dare consistenza a questa
ipotesi.
Si spera nella fortuna per trovare qualche vecchia fotografia dimenticata in
un armadio oppure incontrare un centenario dalla buona memoria.
Il Padre gesuita Bresciani nella sua opera "Dei costumi dell'isola di
Sardegna" del 1861, descrive una razza di cani "d'indole cupa,
cogitabonda e triste in eccesso" presente in Sardegna: "tanto
valenti alla guardia che i Sardi li hanno a ragione in altissimo pregio (.)
hanno il muso aguzzo, gli orecchi ritti, la vita lunga e slanciata, le gambe
snelle e sottili, il pelo irto o rado di colore lionato o bigio piombo (...)
sono fedeli al signore o dolci con i famigliari ma turci, odiosi e feroci
con gli stranieri"; egli inoltre racconta il tipo di addestramento
riservato ai suddetti cani al fine di renderli "crudeli e serpentosi":
"li attizzano, li inviperiscono, li affamano, li legano stretti nelle
tane al buio, di che riescono ferocissimi".
I cani feroci così ottenuti venivano anche usati dai banditi come
affidabili complici in imprese brigantesche ma anche nelle bardane che
coinvolgevano interi paesi delle fertili pianure sarde e per il loro
addestramento veniva quindi usato un fantoccio al collo del quale legavano
uno stomaco di pecora riempito di sangue: i cani imparavano presto ad
azzannare il collo del fantoccio e venivano inoltre premiati quando
eseguivano l'ordine di attacco del padrone-addestratore.
Lo stesso Bresciani ricorda che i soldati sbarcati dalla flotta francese nel
golfo di Quarta, l'attuale spiaggia del Poetto di Cagliari, sbarco avvenuto
nel 1793, furono scacciati con l'ausilio dei cani da lui descritti, aizzati
in branchi dai montanari per l'occasione unitisi ai miliziani schierati
lungo la costa: "quelle tigri, fatte più calde e frementi al fuoco, al
fumo, al fragore delle artiglierie, correndo e nabissando colle aperte
bocche, investirono l'oste nemica; ed arricciando i peli... non lasciavanli
riavere.beato chi potea gettarsi in mare a salvamento".
Sono a conoscenza di episodi nei quali il proprietario di un cane di Fonni
deve nutrire l'animale, legato ad una robusta catena, avvicinandogli la
ciotola contenente il cibo mediante una lunga canna.
In quanto dotato e come conseguenza delle selezioni condotte nel passato,
l'animale risulta affidabile guardiano della casa e del gregge ed ottimo e
poliedrico cacciatore; non teme il corpo a corpo nemmeno con il più grosso
cinghiale.
Le doti caratteriali si stabilizzano a diverse età ma generalmente intorno
al terzo anno di vita per i maschi, mentre le femmine sono più precoci.
Quindi l'aspetto generale del cane non è molto aggraziato anche se oggi si
tende a selezionare esemplari sempre più alti, grossi e belli escludendo
gli altri.
Nella sua opera sui quadrupedi di Sardegna, edita nel 1774, trattando del
"can sardo" così chiamato in quanto assai comune in Sardegna,
padre Francesco Cetti narra: "le dimensioni opposte del veltro e del
mastino si elidono scambievolmente (...) vi trovano riunite in un sol corpo
la forza, la velocità, l'odorato (.) e ne risulta un grande risparmio di
corpi poichè un solo fa gli uffici di molti".
Giovanni Valtan nel 1899, "In Sardegna", scrive: "famosi per
l'istinto cattivo e sanguinario sono i mastini detti cani di Fonni, grossi
alani robustissimi e d'una ferocia inaudita (.) la loro forza è tale che
permette loro di arrestare un bue od un cavallo afferrando coi denti la
capezza o addentandoli per l'orecchio (.) sono ottimi cani da guardia ma
troppo pericolosi (.) devono stare sempre legati (.) che se per disgrazia la
catena si spezza, saltano alla gola del primo malcapitato, e con un morso
formidabile gli rompono le arterie (.) due di questi cani dell'età di un
anno furono pagati cinquecento lire dall'impresa austriaca delle escavazione
dei porti di Sardegna, ma erano così feroci che il guardiano dovette
accompagnarli da Fonni a Trieste (.) il guardiano stesso deve stare bene
accorto (.) la loro mole è considerevole, hanno il corpo tozzo, il muso
largo, dalle robuste mascelle, le orecchie piccole ed erette, le zampe
muscolose, il petto ed il collo larghi e leonini, la coda corta (.) il manto
fulvo dal pelo fitto e corto e lo sguardo fiero e molto intelligente".
Queste descrizioni possono adottarsi per il cane fonnese attuale e sono
convinto che esso sia il diretto discendente degli animali oggetto
dell'interesse dei medesimi autori.
Sono pochissime le altre fonti conosciute che narrano o descrivono questi
cani sardi, e solo per citarne alcune, ricordo Baldassarre Luciano(1841), il
Canalis nel Dizionario Storico-Statistico, Alberto Della Marmora, il quale
fa un accenno ai "fonnesi con i loro terribili cani"
nell'Itinerario dell'Isola di Sardegna, Francesco Corona (1896), Sebastiano
Satta, Antioco Casula in arte Montanaru nella poesia "Ninna nanna de
Anton'Istene", Antonio Mereu in "Fonni Resistenziale"ed un
articolo apparso sull'Unione Sarda il 21 gennaio 1912, oltre quelli più
recenti sulla cronaca delle testate locali e in conseguenza del risvegliato
interesse per l'animale.
Ai cani di Fonni viene praticato il taglio delle orecchie e l'amputazione
della coda alla seconda o terza vertebra coccigea.
La coda, infatti, può essere di lunghezza media oppure naturalmente ridotta
ad un terzo o, come già detto, assente; in un cucciolata alcuni piccoli
possono nascere anuri: qualcuno avanza l'ipotesi che quest'ultima
caratteristica sia distintiva di linea fenotipica ed in Barbagia viene
considerata indice di purezza (soprattutto nel paese di Fonni vengono oggi
selezionati esemplari maschi e femmine anuri che daranno origine ad
un'intera cucciolata senza coda).
Le poche testimonianze fotografiche dell'inizio del secolo scorso ritraggono
in eguale misura animali con e senza coda.
In molti testi di storia sarda riproducenti stampe d'epoca ho avuto modo di
notare la rappresentazione grafica a colori di cani molto simili al fonnese
per forma del corpo, colore del mantello, grigio, nero o tigrato e
dimensioni, dedotte dal rapporto di proporzione delle raffigurazioni di
uomini e cavalli vicini ai cani, generalmente aventi coda corta ed orecchie
ritte.
La ferocia, un ottimo olfatto e l'udito finissimo sono le caratteristiche
che fecero di questi animali dei cani da guerra e come tali furono impiegati
nella campagna d'Africa, in Libia, per prevenire gli attacchi agli
accampamenti italiani da parte dei ribelli Senussi i quali, strisciando tra
i canneti, cercavano di entrare nelle linee italiane.
I Senussi erano gli affiliati ad una confraternita musulmana fondata da
Muhammad ibn Alì al Senussi (1787-1859) che riunì i suoi seguaci nello
Stato "senussita" fondato in Cirenaica, con capitale Giarabub, che
fu distrutto dal governo coloniale italiano e, rinato dopo la seconda guerra
mondiale, fu inglobato, federato, nel regno di Libia.
Il sergente Antonio Coinu, nativo di Fonni, nell'anno 1912 fu incaricato dal
comando militare della requisizione di mastini fonnesi.
Ne furono presi centodieci nel solo paese di Fonni, comprese le femmine, ed
i rimanenti reperiti in tutta la Barbagia, l'Ogliastra e nel resto
dell'isola; questi furono pagati cinquanta lire ciascuno.
L'imbarco dei cani e degli istruttori avvenne a Cagliari il 20 Aprile 1912
sui piroscafi India e Principe Amedeo e, giunti a destinazione, gli stessi
vennero suddivisi in cinque plotoni ed impiegati a Derna, Tobruk, Homs e
Bengasi.
L'addestramento alla guerra era il seguente: tenuti saldamente alla catena,
un militare camuffato da arabo o da turco e con tanto di barracano o fez,
faceva ai cani ogni sorta di offesa o maltrattamento; quindi si presentava
un altro militare vestito con la divisa italiana che invece accarezzava i
cani e portava loro del buon cibo.
Tale addestramento affezionava il cane alla divisa italiana e montava l'odio
per il nemico: gli effetti si vedevano quando gli animali venivano liberati
e si avventavano contro un fantoccio che, vestito nello stesso modo del
seviziatore, veniva da essi trovato nell'accampamento.
Bisogna riconoscere che questo addestramento era analogo a quello descritto
da Baldassarre Luciano nei suoi "Cenni sulla Sardegna" del 1841.
Risulterebbe che nessuno dei cani impiegati in Libia sia ritornato in
Sardegna in quanto furono tutti lasciati in quella terra, compreso il mitico
Astula, così chiamato perché sveglio e veloce come una scheggia.
L'unico animale che un militare cercava di riportare indietro si dice sia
stato ucciso durante la navigazione: non vi sono però certezze in merito e
non si esclude invece che, vista la preziosità del cane - soldato, almeno
un reduce sia tornato a casa.
Vennero successivamente impiegati dalla Brigata Sassari nel corso della
prima guerra mondiale ed utilizzati dalla Guardia di Finanza nel 1932 in
Tripolitania anche se bisogna dire che, in quest'ultimo caso, risulterebbe
invece impiegato il dogo sardo.
Dopo l'armistizio, i tedeschi in fuga trafugarono gli esemplari più belli e
forti, successivamente utilizzati per insanguare lo Schnauzer.
Si aggiunga quindi lo stillicidio di animali operato dai baschi blu della
Polizia di Stato negli anni settanta quando, durante le perquisizioni degli
ovili, gli animali che si avventavano venivano abbattuti.
Oggi, in Sardegna, pochi appassionati sono impegnati per la definizione di
uno standard ai fini del riconoscimento della razza e della tutela di questo
particolare elemento di sardità. -nb la razza è stata recentemente
riconosciuta- Nell'ambiente cinofilo isolano si verificano spesso
speculazioni sugli animali in quanto esemplari incrociati con altre razze,
sopratutto Pastore del Caucaso e Schnauzer, vengono venduti quali "puro
fonnese, di alta genealogia", come indicano gli annunci sui giornali, a
prezzi che sfiorano i cinquecento euro a cucciolo: un incauto acquisto che
dovrebbe essere scoraggiato dalla considerazione che i veri amatori di
questo animale regalano i cuccioli, esclusivamente a persone altrettanto
serie, e semmai recuperano le sole spese sostenute per le vaccinazioni.
Nel passato il cane di Fonni è stato incrociato con "cani da caccia
bastardi di razza minuta", lamenta l'enotecnico Paolo Pili in un
articolo sull'Unione Sarda dell'anno 1912, che aggiunge: "sono forti
per natura, lottano con il cinghiale ed atterrano il toro; l'uomo che non è
abbastanza coraggioso e non ha una buon'arma difficilmente se lo toglie di
torno".
Oggi in molte aree dell'Isola viene praticato, soprattutto dai pastori,
l'incrocio con il cane maremmano-abruzzese e con meticci del medesimo.
Parlando del cane sardo non dobbiamo dimenticare che esiste in Sardegna
anche un altro cane sardo antico da molti, ritengo erroneamente, indicato
come mastino fonnese e come tale identificato, anche nei paesi interni
quando esso nasce a pelo liscio e corto: il Dogo sardo o Dogo sardesco, al
quale ho peraltro già accennato.
Dogo è un nome di probabile origine spagnola che individua un tipo di cane
che ha come caratteristiche taglia grossa e tozza, testa quadrata, labbra
abbondanti, occhio arrotondato, orecchie piccole e corte, grande forza e
temperamento coraggioso.
Il Dogo sardesco è nominato da Sebastiano Satta nella poesia "Cani da
battaglia" e talaltri lo identificano nel cane di Gavoi o Tigrinu, un
animale molto aggressivo, a pelo corto e dal manto generalmente nero o
tigrato, di taglia medio-grande.
Gli anziani allevatori raccontano come in passato il dogo fosse molto più
alto e tarchiato dell'attuale: un molossoide brachicefalo dal corpo compatto
e con un peso variante tra i 50 e 60 chilogrammi e punte anche di 75!
Viene dagli stessi descritto come molto tozzo, dal petto ampio e con arti
robusti e muscolosi, avente il mantello nero o tigrato dal pelo corto o di
lunghezza media, ispido e folto, la coda lunga, che comunque si usava
tagliare assieme alle orecchie, un vero alano specializzato nella guardia,
nella difesa e nella caccia agli ungulati.
La testa del dogo attuale è più pesante di quella del fonnese e le
orecchie sono piccole, semi discendenti od anche a rosetta; la dentatura è
formidabile mentre per la forma degli scuri occhi (quasi neri) non si
differenzia tanto dal secondo: lo sguardo, a volte torbido, per certi versi
è ancora più inquietante.
Il dogo non presenta la "faccia da scimmia" né ha
conseguentemente l'espressione tipica del cane di Fonni; è dotato di
leggera giogaia e spesso presenta un caratteristico portamento da
"orso" con passo lento, pesante ed apparentemente goffo, già
molto evidente nei cuccioli; è privo di mustacchi, pizzo e ciuffi, e c'è
chi afferma che ogni tanto qualche esemplare nasca dal cane di Fonni.
Le doti caratteriali del cane parrebbero molto simili a quelle del fonnese e
risulterebbero anzi ulteriormente esasperate, soprattutto nella caccia.
Questo superbo cacciatore di ungulati veniva un tempo (ma forse ancora)
utilizzato per la ricerca e l'uccisione della grossa selvaggina: viene
liberato dal canarxiu solo quando il capocaccia ha la certezza che la preda
sia ferita e risulti difficoltoso seguirla oppure sia pericoloso avvicinarsi
ad essa. L'animale è veramente raro, i detentori ne sono gelosissimi ed i
pochi esemplari risulterebbero notevolmente imbastarditi.
Tralasciando i miti ed i misteri che popolano il mondo della cinofilia
sarda, ritengo in tutta sincerità che gli attuali cane di Fonni e Dogo
sardesco, entrambi mastini sia in senso letterale che figurato del termine,
siano "su Cani sardu antigu", dai più mitizzato.
Nella cultura popolare potrebbero essere entrambe sinonimi del medesimo
animale che, da un primordiale ceppo e per tutta una serie di vicissitudini,
ha percorso differenti strade evolutive.
Possiamo infatti ipotizzare che entrambe le "popolazioni",
originatesi dall'arcaico cane sardo già presente in Sardegna prima
dell'incontro con altre civiltà e dei conseguenti scambi, sarebbero il
frutto di attenti incroci e selezioni tendenti a creare per il fonnese,
perfezionatosi nel tempo soprattutto come abile cane da guardia e da
pastore, un robusto e coraggioso collaboratore, poliedrico ed affidabile, e
per il dogo sardesco un altrettanto attento cane da difesa e da guardia
nonché abile animale da fiuto, forte e micidiale cacciatore alquanto più
specializzato: anch'egli, come il cane di Fonni, risulterebbe in grado di
atterrare un grosso cinghiale prendendolo per la nuca.
Il cane di Fonni un tempo, ma ancora oggi, aiutava il pastore nel governo
del gregge, difendendolo dai ladri e dalla volpe ed i racconti sul loro
addestramento sono suggestivi: i cuccioli dovevano crescere senza avere
contatti umani e venivano tenuti nelle tanas, buche scavate nel terreno
ricoperte di frasche; venivano nutriti con latte di pecora al fine di
associare gli odori dell'animale che li nutriva con il concetto di madre da
difendere ad ogni costo.
Ogni cultore di questo cane si inorgoglisce del suo animale e ne decanta
doti di intelligenza.
Tratto da "Fonni in rete"
www.canefonnese.com
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